Castello di Montechiarugolo storie dal 1612
Archivio di Stato di Parma
La “Gran Giustizia” del 1612. Streghe, malefici,
congiure e confische nella Parma di Ranuccio I Farnese
La “gran giustizia” di Ranuccio I, a fronte dell’evidente consolidamento dello Stato Farnesiano e dell’arricchimento delle finanze ducali, lascia irrisolto l’arduo dilemma: “fu vera congiura?”. I documenti narrano degli accadimenti, dei fatti, in attesa che una approfondita lettura critica restituisca l’evento alla storia, se possibile, nella sua autenticità. Il tema, intrigante e complesso, offre vari spunti di riflessione e di approfondimento. Il percorso espositivo, che si snoda in cinque sezioni, è supportato da didascalie, da commenti e da trascrizioni che ne consentono la più ampia fruizione. L”esposizione dei documenti originali dei processi e dei carteggi relativi permette di leggere gli atti d’accusa alle ‘presunte’ streghe e rende palesi le manipolazioni degli interrogatori e delle confessioni sotto tortura dei sospettati di congiura; attraverso gli inventari è inoltre possibile quantificare l’entità dei beni mobili (tra cui quadri e arredi) e immobili (castelli e palazzi) incamerati a seguito delle confische per ‘lesa maestà’. Curata in collaborazione con Alberto Cadoppi e Giuseppe Bertini, illustra la dibattuta questione della congiura ideata, secondo l’accusa, da alcuni nobili (Barbara Sanseverino, Girolamo, Gian Francesco e Alfonso Sanvitale, Orazio Simonetta, Gian Battista Masi e Pio Torelli) per uccidere il duca e la sua famiglia e
impadronirsi del ducato. Nelle bacheche dell’Archivio di Stato vedremo quindi i manoscritti con decreti e mandati di perquisizione contro donne accusate di stregoneria, incipit di un’inchiesta cavillosa che portò alla scoperta delle perversioni private di alcuni nobilotti locali e in seconda battuta della trama contro il duca; le carte degli interrogatori, condite da un utilizzo senza scrupoli della tortura, le cui le tecniche, qui illustrate da immagini, spesso valicavano i limiti della giustizia; le direttive impartite al giudice Piosasco dal braccio destro di Ranuccio, il mefistofelico Bartolomeo Riva; le confessioni smozzicate sulle quali si appoggiava un’accusa che portò alla estreme conseguenze l’interpretazione della classica «lesa maestà», sotto la quale XVI e XVII secolo furono soliti ricondurre una pletora
di reati a tutela dei prìncipi.
Parma, Archivio di Stato di Parma
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