GLI ANOLINI di Parma
Tra i piatti più buoni al mondo, certamente non gli unici, un posto di primo livello lo meritano certamente GLI ANOLINI di Parma. Originari (pare) dalla vicina provincia di Piacenza (anvëin), che quando un parmigiano li sente nominare gli vengono i brividi!…
A differenza di alcuni altri squisiti piatti, non sono il frutto della cucina povera, ma dello sforzo economico e non solo, che le comuni famiglie mettevano in atto in vista delle grandi feste comandate. (Natale, Pasqua e il locale Santo Patrono). In più nelle campagne c’era il rito del pranzo in occasione della trebbiatura del grano. In piena estate la trebbiatrice (la machina da batar) era un cantiere che occupava diverse persone, non tutte a disposizione in famiglia. Quindi si usava il lavoro a rendere. Quando la macchina era in una corte, i vicini andavano in questa a prestare aiuto e viceversa. La giornata intensa e faticosa era misurata anche sulla bontà degli anolini che “rizdora” (suocera) e nuore avevano preparato. L’impegno era notevole perché ogni famiglia voleva dimostrare ai vicini la propria superiore arte culinaria.
Per un parmigiano c’è un solo tipo di anolino di indiscussa qualità: quello che fa o faceva la mamma! E al massimo dirà che: “si, sono buoni, ma come quelli di mia
mamma…” La verità è che li aspettavamo tutto l’anno e quando arrivavano era veramente festa grande.
Per quanto riguarda il ripieno due sono le scuole di pensiero. Quello con lo stracotto di manzo e quello con “solo” pane e parmigiano-reggiano. Ciò perché la carne non era sempre disponibile nelle campagne e quindi la sapiente arte dell’arrangiarsi produsse in forma esemplare anche il ripieno senza stracotto. Certamente il merito era ed è del formaggio Parmigiano, che per gli anolini deve essere stravecchio: minimo 30 mesi di stagionatura. Non parliamo di Grana Padano, buono per carità, ma un parmigiano si offende solo a sentirlo nominare!
Tre sono gli elementi caratterizzanti gli anolini di Parma. Il ripieno, la pasta, e l’accoppiata cappone/manzo per il brodo di cottura.
Se per il ripieno si usa lo stracotto bisogna farlo bene: cottura lentissima iniziata il giorno precedente, assieme ad un soffritto di sedano, carota e cipolla preparato in padella con un po’ di burro. Si può aggiungere un tocco di salamino, ma poco. Poi un bicchiere di lambrusco robusto in una cottura di non meno di cinque/sette ore. Quando il vino è evaporato, si aggiunge poco alla volta del brodo caldo. A fine cottura il tutto andrà amalgamato con pan grattato, parmigiano e uova sbattute.
Per la pasta un segreto sopra tutto: va fatta in casa, e per impastare la farina solo uova. Qualcuno aggiunge un po’ d’acqua ma quest’aggiunta sarà inversamente proporzionale alla qualità ottenuta. Una volta tirato l’impasto in strisce sottili ma tali da reggere il ripieno durante la cottura senza rompersi, al centro si pongono piccole palline di ripieno e si chiude l’impasto con attenzione. Un apposito strumento taglierà l’impasto sopra la pallina e… voilà è nato l’anolino (di Parma).
Altra parte fondamentale il brodo di cottura: rigorosamente “di terza”: cappone, manzo e costina di maiale, più ovviamente sedano, cipolla e carota.
Tutto questo lavoro non avrebbe senso se si sbagliasse il tempo di cottura. L’anolino dev’essere cotto al rigoroso punto giusto, una cottura eccessiva anche di soli pochi secondi (considerando che continuerà anche nella zuppiera), lo renderà scialbo al palato e saranno ricorrenti le fratture della pasta, tali da far penetrare il brodo all’interno rendendolo insopportabile. Quindi niente distrazione e frequenti assaggi in cottura. Se invece sarà stato cotto con proprietà, sarà elastico, di profumo inebriante, con la necessità di una leggerissima masticazione. Insomma,… proprio come lo faceva mia mamma! BUON APPETITO! Tiziano Testi.