U gjuarnu i Natali Nicastro ora Lamezia Terme vecchi ricordi
U gjuarnu i Natali Nicastro ora Lamezia Terme
vecchi ricordi
U gjuarnu i Natali. da Raffaello Conte
Il problema serio era dove e come acquistare ” u capituni” cchiu randi. A questo era delegato mio nonno che si divideva tra Ritorto e Benincasa , ma pure Ottaviu unla “mullava”(una volta scappò “l’anguillone e cadìu sutta a scala da signora Maria, dua uri mu pghiamu”..A nonna(dopu umpurnatu u pani) e mia mamma circavanu “vruacculi”e finocchia di jardinari du ponti i Santantoni e pua nuci, mandarini crucetti, turdilli e nucilli americani. Mio padre alici e baccalà e alivi, niguri i nduvi Ottaviu.U Ziu Leonardu vinu i Gaetanu e gazzosi a caffè e limone Ferrise, Marsala e murtatella nduvi Amatruda ppi finiri. A zze Angela a jiurnata sfilava grispelli culla sarda,un si putìa mangiari se non la sera a pasta e sardi culla mullicata ,ma dopu niscia tuttu fhora pittanchiusa,patati i tutti i maneri, buccacci d’alivi ammaccati e giardiniera sazizzi e capaccolla(tandu nduvi c’eranu mulinigani o pipi e pomadori a Natali nulla di tutto ciò).Meli da muntagna cachis,castagni
fhicu indiani e pignolata non panettoni no pandoro sulu buccunotti cu marmellata di uva fragola fatti da mamma.Tutta a razza con i sette figli di mia nonna(zii)riempivano a casa di via Indipendenza e l’odore di frittura di alici e grispelli arrivavanu allu cumbiantu i SANTANTONI.U grammofunu du nonnu ppi la via “parlami d’amore Mariu’ e Caruso a gjurnata.Cuminciavamu a mangiari alli 9 ed eranu mbriachi sino alli 5 da matina,menu ca quandu passavamu u bambiniallu casa casa e llu pusavamu allu prisebi cavìa fattu u Zzu Mariu culla ligna da segheria i Caparrotta. Alli due i notti mia mamma mi portava a dormire tutto il resto giocava a tombola ed usavano i “corchi” di mandarini pii cuviriri i caselli.Era tutto felicità malgrado da poco l’uscita dalla guerra e dalle sue privazioni.Ricordo lucidamente tutto anche adesso .Ma ormai è un’altra cosa.
La pescheria di Domenico Ritorto era in Largo Angotti esattamente a lato del bar Ferrise ( con le sue specialità della gazzosa al limone e al caffè), nel negozio Ritorto all’inizio si vendeva il Pane che donne provenienti dalla montagna con la corriera portavano dentro grandi ceste, in cambio di soldi ma anche di altro cibo, si vendeva sarde salate, baccalà, stoccofisso, che arrivavano da Napoli, salsicce, capicolli,olive tostate, anche di produzione locale e scatolette di Simmental . Poi avvenne la trasformazione in pescheria. Nella via dietro Ferrise vi era una osteria dove si andava a comprare il vino portandosi la bottiglia da casa , il vino era nella botte. Nella via del crocefisso di fronte a Ferrise sul lato sinistro, vi erano i produttori di terre cotte che poi vendevano nella piazza ( foto qui sopra), nel palazzo di fronte a Colavolpe salendo le scale, durante la guerra vi erano alloggiati i militari, col disprezzo di alcuni ma con simpatia di altri , loro avevano cibo da poter scambiare. Era tempo di povertà.
Sempre nella via che porta al fiume dove le donne andavano a lavare i panni, appena dopo il negozio di Colavolpe vi era sul lato sinistro il venditore di Varechine, di prima mattina usciva col suo bidone posto sopra di un carretto con i cuscinetti e tirandolo si muoveva per il paese urlando “Varechine” e la gente interessata si avvicinava con un contenitore per comprare (1956). Certo non bisogna dimenticare il negozio (drogheria) di Colavolpe, i miei erano filoncini di birra con mortadella con semi di pistacchio, oppure rubavo in casa di mia nonna le melanzane sottolio, fatte a polipo o a fette o filetti immersi nell’olio con la finocchina e altro.